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Educare i giovani alla vita eterna

Il mese di Novembre mi è molto caro: celebrare la festività di Tutti i Santi, tra cui crediamo si trovino anche i nostri cari defunti, rende l'autunno luminoso. Il tema della morte e quello della vita sono strettamente intrecciati. E' un errore pedagogico cercare di tenere i nostri ragazzi “al riparo” da questi temi. Nella complessità della nostra società, essi sono già segnati dall'angoscia della perdita, subita o temuta. Temono la morte perché temono la vita, nel suo profilarsi nella precarietà, nella negatività, nella mancanza di prospettiva. E' sempre più in aumento il tasso di depressione giovanile (purtroppo spesso sino a derive estreme): un dato assai preoccupante, che non può non farci riflettere. E se fosse – ipotizziamo – che la vita si incomincia ad amarla quando crediamo che abbia/possa avere un senso, una direzione, uno sbocco? E se i giovani potessero credere che tutto quel che vivono di bello, grande, entusiasmante (per es. l'amicizia) fosse un segno ed un sogno, un anticipo o un preludio – chiamiamolo come meglio ci aggrada – rispetto a quella “Eternità” che Dio ci ha promesso e per la quale siamo stati creati? E se potessero, i giovani, credere che tutto quel che vivono di difficile, doloroso, sia dotato di un senso, pur se misterioso, ma reale, addirittura divino? Se potessero credere davvero, con l'adesione di tutto il loro cuore, che il dolore non è/non sarà per sempre? E se – continuiamo ad ipotizzare – potessero credere che tutto ciò che il loro cuore anela e non sa esprimere, quell'insaziabile desiderio d'infinito, è ben conosciuto da Dio? Che si tratta di quella sana inquietudine agostiniana che ci porta a cercare Dio, a non accontentarci di paradisi artificiali, a non saziarci di niente che sia meno del Cielo? S. Agostino scrive che “il Signore ha che offrire anche a coloro che non sanno cosa chiedere e tuttavia credono a quel che possono ricevere”. Se potessero i giovani credere/sperare che non è necessario (ed è impossibile) fissarsi sulla realizzazione completa di se stessi “su questa terra”, perché non è tutto qui, esiste un “Oltre” che custodisce i nostri desideri più intimi e che porterà a compimento l'identità di ciascuno nella relazione con Dio? E che credere nell'eternità non significa essere deboli, fuori moda, bensì avere una marcia in più, essere forti, coraggiosi, infiniti, immensi, poiché figli di Dio? A farci caso, la gran parte delle canzoni che ascoltano i ragazzi, anelano, con le modalità tipiche della loro età, all'Amore Infinito. Se scoprissero che in Dio e con Dio, ogni loro progetto, ogni loro amore, può fiorire, che Dio non porta via nulla, ma anzi dona tutto, che non rifiuta ma accoglie, che non giudica, ma valorizza, che non fa preferenze ma ama ciascuno in maniera unica, che non manda all'inferno, non punisce, né abbandona, ma salva? Allora – forse – si tratta di cambiare le immagini di Dio da cui siamo abitati e che trasmettiamo ai giovani sin da bambini. Giovanni Paolo II, in una delle giornate mondiali della Gioventù, disse con forza: “E' Cristo che cercate quando cercate la felicità”. Bisogna puntare sul Dio felice (“E' Dio il felice che rende felici” dice S. Agostino), su Colui che conosce i nostri cuori, l'Amico vero, Colui che ti fa intravedere una luce nelle tue oscurità e che non smette di indicarti la Patria. Ah, se i giovani comprendessero – perché incuriositi da volti sorridenti, da gente disponibile, da testimonianze vive - che non si tratta di “fuggire da” quello che stanno vivendo, comunque esso sia, ma di “andare verso” il mistero del compimento in Dio, non pensate anche voi, con me, che sorriderebbero di più, avrebbero meno bisogno di stordirsi, vivrebbero con più gusto e sobrietà? Pietro ci esorta ad essere “pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (1 Pt 3,15). Se noi faremo questo, loro - figli, nipoti, alunni – ci ringrazieranno.

 

Monica Cornali

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