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Il Paradiso e la Morte


di Monica Cornali

E' contro-intuitivo lo so: solitamente si parla prima della morte e poi, semmai, del Cielo. Ma la fede cristiana è piena di paradossi. Ed il credente deve osare un pensiero audace: ecco, se io credo nel Paradiso, se mi lascio avvincere dal golfo di Luce, dalla destinazione ultima, mia e di tutti, se io desidero ardentemente il mio compimento in Dio, allora posso rivisitare la morte, senza morir di paura! Il passaggio inverso non dà gli stessi risultati: abbiamo tutti paura dell'ignoto che la morte rappresenta, della ineliminabile cesura rispetto alla continuità dei nostri giorni e dei nostri affetti e, timorosi, ci volgiamo a quello che ci hanno insegnato al catechismo:“l'Oltre” in termini di giudizio, purgatorio, inferno, paradiso. Dove il Paradiso è soltanto una delle possibilità e nemmeno la più probabile. Dove ci sono ancora le dimensioni spazio/tempo. Ragioniamo in termini di “merito” o “demerito”. Ragioniamo in termini di raffigurazioni, più o meno pittoresche, di quel che ci aspetta. Non mancano nemmeno gli esperti di mappe dell'oltretomba, li chiamano “veggenti”. Insomma, non è la stessa cosa innamorarsi del Cielo (massimo compimento della propria ipseità nell'attingimento di Dio) e quindi accettare “sorella morte” (B. Pascal scriveva: “Persino la morte è dolce in Gesù Cristo”), oppure temere la morte, aggrapparsi alla vita temporale come ad un idolo e, semmai, “rassegnarsi” all'Oltre, sperando che ci vada bene!

Si capisce come, per operare una tale conversione del nostro modo di pensare, di credere e di vivere, sia necessario un cammino. Una educazione del cuore che, sostengo, debba cominciare fin da piccoli, educando i bambini alla vita eterna. Un fare spazio al silenzio, alla preghiera. Un andare controcorrente rispetto alla frenesia del nostro clima sociale e culturale, tutto improntato alla performance, al risultato, al “tutto e subito”. Un'educazione all'attesa. Un'attesa operosa perché innamorata. Un attendere insieme, che rende belle e sane le relazioni, poiché focalizzate, magnetizzate, su un orizzonte comune, sul Paradiso, che è Dio (“Locus noster erit Deus”, scrive S. Agostino).

Relazioni, non rispecchiamenti narcisistici cui si continua a dare il nome sbagliato di “amore”. Una “comunità di destino” direbbe Simone Weil. Un affidamento al Mistero, perché il Cielo è il segreto di Dio, il Suo dono, la Sua sorpresa ed il senso stesso per cui siamo stati creati. La nostra pretesa di conoscerne i dettagli rivelerebbe, ancora una volta, l'errore dei progenitori: un volersi mettere al posto di Dio, non fidandosi di Lui; un voler “rubare” ciò che invece ci viene amorevolmente donato.

Altrimenti che senso avrebbero le parole di Paolo: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo” (1Cor 2,9)? E, in Rm 8,18, un'altra perla preziosa: la possibilità di attribuire un senso anche al nostro soffrire, poiché temporaneo e non paragonabile alla verità gloriosa che ci attende.

Quale miglior modo per onorare la memoria dei nostri defunti che credere alla loro “felicità”? Alla loro presenza, quella vera, spirituale, profonda, che non passa attraverso i sensi, ma attraverso il cuore, che è l'organo del significato, che è l'anfora della Grazia.

Che bellezza, che meraviglia, che gratitudine! Verrebbe da dire, insieme a Teresina di Lisieux, esperta nell'arte del desiderio: “E' tutto già risolto in Dio! Dio ci vede già nella beatitudine eterna!

Viviamo da redenti, viviamo a partire dal Cielo! Se Dio ci ha messo in cuore tanta inquietudine, è perché desiderassimo la felicità suprema, Lui stesso, piuttosto che i nostri facili accontentamenti.

Letture consigliate:

CREATI PER IL PARADISO a cura di Monica Cornali e Luigino Bonato – EMP

Per i bambini: IL PARADISO CHE COSA E'? K.L.Bostrom - Elledici

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