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Newsletter - Marzo 2018

°   Questo mese è come una grande vigilia. L’augurio che ci porgiamo, ci consenta l’esplicito desiderio e la miglior consapevolezza per prepararci alla Pasqua. Le date ci possono sfuggire, ma mai si possono ignorare le esigenze del cuore. Che la fede stia diventando un diffuso anacronismo, son già in parecchi ad esserne convinti. I primi sono stati i cosiddetti maestri del sospetto e tanti loro epigoni. La domanda più cruciale che potremmo farci sarebbe: In cosa posso sperare? L’orizzonte di verità dell’uomo moderno si restringe al visibile e al fattibile. Quella di Gesù sarebbe soltanto una favola. Superare la paura della morte, creando l’illusione di un aldilà sarebbe il meglio del “trucco cristiano”. Diventare adulti però non comporterebbe forse dell’altro? Che cosa devo fare di conseguenza? Solo quello che mi piace, che mi fa star bene, che favorisce la mia auto-realizzazione, che corrisponde al mio progetto di vita. Non devo farmi guidare da nessuno. Voglio essere io a decidere ciò che è bene e ciò che è male per me. Se l’Io è il valore assoluto, il primo risultato è già raggiunto e non è affatto bello: la morte del prossimo è già avvenuta.

°   La domanda però più interlocutoria è quella che riguarda la speranza. Alla morte, ti tocca far comunque tappa: con essa tutto finirebbe, se non hai una speranza che abbia ben fisso un gancio in Cielo. La nascita avviene nel pianto, pianto di gioia lo si dice. Quante lacrime non accompagnano il breve e/o lungo penare che, nessuno escluso, la vita gli fa gustare? E la vita si spegne, il più delle volte, ancora con lacrime copiose ed inarrestabili, molto amare. Ogni stagione della vita poggia sulle relazioni corte, le più indispensabili o le più trascurate, soffocate in tanti modi, anche terribili. Questa vita non basta a nessuno. E le relazioni ne son davvero la spia più interessante e problematica.

°   Pasqua andrebbe accompagnata dal gridare: il verbo ricorrente nella scrittura è kerussein e kerigma fa da base a questa sensazionale notizia: Il Signore della vita è risorto. E noi risorgeremo con Lui. Dovremmo accoglierla di più e con più passione questa sorprendente verità, anche nei sentieri nascosti o criptati del cuore e della coscienza. Tenercela in buona evidenza. Se è volontà di Dio che nessuno si perda, ci conviene prendere più sul serio anche l’accadimento del morire.

°   La Pasqua ha una data, ma l’evento che la connota, è ogni attimo. Chi è che ti nutre il cuore di speranza, se la vita comincia in Dio prima che nasciamo e finisce nella pienezza di Felicità con cui Lui accompagnerà l’esito che compiremo da questo mondo? La risposta è più che ovvia, per quanto la si senta tribolata: o Dio è il fondamento della inoppugnabile speranza e Gesù il Vincente che, sulla croce, prima dell’ultimo respiro, prima di farci partecipi del Suo stesso Spirito, grida: “Ce l’ho fatta!” (Consummatum est – tetelesthai = ho portato tutto a compimento, a pienezza), o il nostro destino lo esprime un dire quanto mai diffuso: con la morte si cancella tutto, tutto finisce! A questo punto però, dove situi il valore o l’affanno del vivere? Gesù Redentore può ben affermare: Morte, io sono la tua morte! E voi, inferi, zittite. Ho letto che il motto episcopale di Benedetto XVI ora novantenne, è: “Cooperatores veritatis” (Cooperatori della verità). E non si può dimenticare il “Quid est veritas?” di Pilato, cui le parole di Gesù potrebbero ben rispondere: “Est vir qui adest” (E’ l’uomo che è qui). Nell’apocrifo Vangelo di Nicodemo è detto invece, ma correttamente: “La verità viene da Cielo”. In Giovanni la verità è Gesù, Lui la Promessa di vita sempiterna, cui il Padre da conferma e a cui lo Spirito, con gemiti inenarrabili, ci orienta e ci sospinge.

°   Buona Pasqua! quindi. E salutato sia con fervore e assidua partecipazione da tutti noi anche lo speciale Triduo che ci vuole cuore ancor più dilatato alla speranza con cui il Cielo desidera completamente avvolgerci.

     Insistere sulla Pasqua e sulla Risurrezione è più che legittimo: è il trionfo della più vera e totale nostra liberazione. Nondimeno l’evento mette in scacco, non solo la paura della morte, ma la morte stessa. Passare da morte a vita non è, senza dubbio, una notizia di poco conto, a meno che la si consideri a mo’ di favola che dia fiato, ribadisce più d’uno, a gestire le troppe, tanto amare difficoltà del nostro tempo.

     Ci resta tuttavia da fare un altro piccolo passo per far posto, come merita, al mistero dell’Ascensione, troppo poco considerato, tutto assorbito dall’invito, come spesso sembra, soltanto per dare un volto bello e migliore a questa valle del pianto. Le apparizioni del Risorto cercano pedagogicamente di preparare i discepoli al distacco definitivo che la sua nuova e definitiva condizione metterà anche loro in rapporto con Lui. Lascia trapelare infatti la speciale e finale loro divinizzazione (uiothesia) di figli nel Figlio. Se sciolti anche dalle dimensioni più evidenti fin che siamo su questa terra, spazio/tempo, in una cesura speciale, ne restassimo salutarmente deprivati, perché insistere tanto su carne e corpo, intesi nel loro significato terreno più immediato, come realtà a noi dovute anche in vita eterna?

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°   Un’ultima osservazione - Ho letto ultimamente un rilievo di uno dei nostri sacerdoti. In diocesi si fa un uso eccessivo di carta, tanto che inviti, occasioni, proposte, ecc. per la maggior parte son destinati a restare, purtroppo solo sulla carta. Del tipo “Tutti in corsa”. Quanto ad arrivare son però sempre più pochi e spesso sempre più saturi, stressati. Si continua a far di tutto, ma senza efficacia, senza nessuna verifica seria, senza chiare prospettive, senza scelte di rispetto e possibiliste. Certo la messe è molta. Concretamente però: chi mette mano al grano che biondeggia in tutti i campi?

     Ritengo che l’osservazione non sia superficiale. Quelli che se ne intendono, sottolineano, soprattutto per l’Occidente, che stiamo diventando una popolazione vecchia, bisognosa di più riguardo a tanti aspetti vitali, frenetica e caotica, con l’ansia sempre in agguato e la diffusa depressione sempre falcidiante, da cui non se ne viene fuori sulla spinta appena di buone intenzioni. Vale anche per la vita spirituale, la vita cristiana. Più si tende a spremere le possibilità, più ci si ritira. Il desiderio delle masse è la maggior parte delle volte solo velleitario. La fede passa da bocca a bocca. Ma se non si trova nessuno che si fermi, tra quelli che cercano, nessuno troverà mai qualcuno ben disposto ad ascoltare.

°   Alla speranza diamo allora spazio. Più che ribadirla, battendo spesso solo l’aria, costruiamole ali per volare.

Luigino don

 

P.S.: Nessuno dimentichi didare per tempo la propria adesione al weekend dal 23 (h.18) al 25 marzo (h.14), sul tema della speranza cristiana. Vi chiediamo anche il favore di passare l'invito a familiari, parenti, amici cui potrebbe tornar favorevole profittarne. Sarebbe tema e/o problema, anzi, molto pertinente per coloro che non si rassegnano alla morte di un loro caro.

A tenere le riflessioni ci sarà Monica Cornali ed il sottoscritto.

 

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