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Newsletter - febbraio 2017

♦    Diamo il benvenuto al mese più breve dell’anno. Normalmente, per un rimando ideale, si potrebbe dire: “Quanto più breve, tanto più intensamente vissuto”. E non si tratta sempre di risultati da raggiungere, quanto invece di migliorare se stessi. Per chi prende con responsabilità la vita, la regola migliore è proprio questa: son tante le cose vane, che ci lusingano, che cercano di riempire gli incolmabili vuoti che ognuno si porta dentro. La miglior convenienza sta nel dar qualità, profondità al tempo che, veloce, precipita sempre di più. Si dice anche: “non aggiungere anni alla vita, ma aggiungi vita agli anni”.

♦    Ci da uno dei primi saluti, la festa della Candelora. “Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo Israele”. Il vecchio Simeone, sazio di giorni per la salvezza intravvista, profeticamente, annuncia poi a Maria che le sarebbe stata riservata una spada di atrocissimo, impensabile dolore: le avrebbe attraversata l’anima. Da purificazione di Maria, come era detta un tempo, a Festa della presentazione del Signore, come meglio la liturgia la chiama oggi.

♦    Tutto appena in una giornata. Che sappiamo è troppo poca cosa. Come potrebbe bastare una giornata nel desiderio, ad esempio, di riuscire a sanarla questa nostra vita, e per attivare magari una vicinanza premurosa di fronte alle molte, troppe vite, ben più prostrate della nostra? Forse si finisce per provare anche un qualche fastidio: si vorrebbe tutto cambiare (ma chi ce l’ha la bacchetta magica?), perché niente cambi.

      Anche nella vita secondo lo Spirito, può mai esser sufficiente una giornata soltanto? Tra l’altro, ci si può insinuare una bella dose, o di titanismo, per un verso, o di immobilismo, dall’altro. La prima tradisce un protagonismo scialbo, in quanto, o il Signore ci fa grazia e noi umili ad invocarla e a riceverla, come stile denso di vita, o cediamo appena al desiderio di metterci in bella mostra, di vivere di ostentazioni che a nulla approdano. E l’altro aspetto ne sarebbe la conseguenza più inevitabile: mi prende la disaffezione più manifesta, quando non anche il coraggio alla rovescia di dichiararlo fuori dai denti. Quello che fino ad ieri sembrava il tuo vanto, ora diventa legittimazione per non prestarti più a niente: saturo e insoddisfatto. Da gente di prima linea, indispensabili, insostituibili, i meglio riusciti, a persone inaffidabili, che inventano scuse per non applicarsi a niente, per vivere (in)appagati soltanto del proprio solitario, sazio individualismo critico.

♦    Con la peggiore delle filosofie, spesso qualcuno arriva ad affermare: ognuno si arrangi. Lasciatemi scendere.

♦    Viene a mancarci il senso della realtà, quel sano realismo che ci porta a rimboccarci le maniche e a vedere quanto di quello che riteniamo nostro, siamo convinti di dover irradiare, a nostra volta, senza superlativi. Su questa terra, nessuno può cambiare qualcuno. Questa terra riceve il peggio di disaffezione, perché qualcuno vorrebbe requisirla soltanto per sé, quando invece ne occupiamo una in tutti. Più che vivere di appropriazione, si tratta di vivere di doni da prestare, da offrire, di attenzione premurosa verso chi è realmente di nessuno. Si tratta di imparare il distacco da tutto, di vivere la gratuità, sentire che la mia vita perde ogni valore, se mira appena a se stessa.

♦    Anche questa terra, chi la può mai cambiare, se non cambiano i cuori che la abitano? E siccome ogni secolo ha finito per doppiare le difficoltà che troppi hanno per farcela, ognuno dovremmo ripassarci i  perché e i per chi di fatto sta vivendo. E trarne qualche conseguenza.

♦    Il tempo, poco o tanto, bello o brutto, sufficiente o misero che di fatto viviamo, ci finirà tutti. A chi andrà quanto abbiamo accumulato con tanta dura ingordigia, lasciando in libertà i nostri vanti più tristi? La persona vanifica se stessa, si auto-inganna parecchio. Nell’abbondanza, nessuno comprende più niente. Diventa come una bestia, intimorita dal dover morire. E dopo? Dal tanto, cui abbiamo chiesto perfino il dannoso impossibile: sicurezza, garanzia, ma anche fatica, giorni amari, preoccupazioni e trepidazioni, al niente: con la morte finisce tutto.

♦    Che avventura sarebbe mai quella detta umana? Una corsa a saziare il per me, l’incontenibile ingordigia, l’essere qualcuno, magari perdendo la faccia, neppur chiamato per nome, e a tradire la speranza, senza la quale è proprio impossibile vivere, perché impoveriti di ogni futuro.

♦    La morte è sempre molto imprevedibile, molto loquace, molto inaspettata. Il credente non la teme. La valorizza come discernimento globale: la grande livella. Il bello appartiene al tempo esclusivo di Dio, al Suo futuro, l’unico che supera il tempo nostro e che diventa Promessa della vita Oltre, Felicità estasiante, Bene inconsumabile, Compimento perfetto, il non-plus-ultra, l’inedito, l’inenarrabile… Vale la pena che ci prepariamo per tempo a riceverlo dalle Sue misericordiose mani.

♦    Corre ancora, sulla medesima onda, anche la giornata del (per il) malato. Non basta il tempo che gli si dedica, giusto per solennizzarne il ricordo. Quanti non ce ne sono, e con quanti reali bisogni! Ma ormai, tra sanità che stringe sempre di più le borse, e sempre più poche le famiglie che si possono permettere di accudire i propri malati, a chi far ricorso? La società è cambiata. Cerca di farsi sempre più strada un’indiscriminata eutanasia, come ultima ratio. Il malato è un peso, è un problema. Il malato stesso lo avverte e, più che può, si lascia morire in qualche RSA, in qualche hospice, in qualche casa di riposo, dove si spera di poter pagare di meno.

♦    La giornata, da tempo, coincide con lafesta della Madonna di Lourdes. Ed ha reso quel luogo “una realtà molto interessante, finita per essere, ed autenticamente, una splendida clinica dello spirito”. Ovviamente, anche a Lourdes bisogna operare discernimenti infiniti, perché anche a Lourdes arriva umanità molto segnata, ricca di sogni a volte del tutto irreali. Ma non è questa la ricchezza di Lourdes. E’ decisamente altra, e forse non è per tutti, per il gioco di tante, troppe, variabili di ogni tipo.

♦    Mi stava sfuggendo un’altra celebre ricorrenza di questo mese: la giornata della vita consacrata. Ed anche qui mi vien da aggiungere: che cosa mai potrà un’unica giornata, rispetto all’impegno di cui i consacrati dovrebbero essere i migliori garanti? Se loro non si mettono in gioco la vita, chi li salverà da quei maledetti processi di mondanizzazione cui sono esposti ogni momento? E sono loro le nostre sentinelle sugli eschata = le ultimissime indicazioni che il Cielo affida loro di testimoniare proprio all’interno di questa nostra sempre più arruffata storia, aderendo gioiosi ai voti emessi il cui unico scopo è proprio quello di anticipare le verità ultime cui tutti siamo chiamati. A chi, se loro si allineano con questo mondo, verrà mai voglia di guardare il Cielo, orientandovisi, scommettendo il meglio della propria vita per questo stupendo compimento in pienezza?

      Mi fermo, per dirVi vera gratitudine, per formularVi tanti, sereni, ben fondati auguri, perché tutti possiamo, sulle strade spesso intricate del nostro vivere, trovare che il Misericordioso è sempre fortemente all’opera, desideroso di ispirarci serena fiducia e ben piantata, sicura speranza, Oltre…

Luigino don

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